Scadenza e conservazione degli alimenti, facciamo chiarezza
venerdì 22 settembre 2017

Sono passati tre anni dall’entrata in vigore del Regolame

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nto Europeo n. 1169/2011 ma ancora oggi i consumatori sono in confusione quando si trovano le diciture “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro”, introdotte con la nuova normativa.

Da consumarsi entro

La prima si riferisce alla data di scadenza tassativa, superata la quale il prodotto viene considerato pericoloso per la salute se assunto. L’alimento è sicuro fino alla data indicata, a patto che vengano rispettate le regole per la sua conservazione, suggerite in etichetta direttamente dal produttore.

Da consumarsi preferibilmente entro

La seconda indica il termine minimo di conservazione e si applica per gli alimenti non soggetti a rapida deperibilità e che, una volta scaduti, non vengono considerati pericolosi per la salute ma le loro proprietà organolettiche risultano variate.

Data di scadenza: cosa significa

La data di scadenza, evidenziata dalla dicitura “da consumarsi entro”, viene riportata obbligatoriamente sugli imballaggi alimentari dei prodotti preconfezionati rapidamente deperibili (latte e prodotti lattieri freschi, formaggi freschi, pasta fresca, carni fresche, prodotti della pesca e dell’acquacoltura freschi).

La data deve riportare, nell’ordine: il giorno, il mese ed eventualmente l’anno. Sulla confezione devono essere inoltre riportate le condizioni di conservazione ed eventualmente la temperatura in funzione della quale è stato determinato il periodo di validità.

È molto importante rispettare le modalità di conservazione, che assicurano la salubrità e la durabilità del prodotto in questione.

Superata la data di scadenza, l’alimento può costituire un pericolo per la salute a causa della proliferazione batterica. Per legge è vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione.

Termine minimo di conservazione: cosa significa

Sui prodotti non rapidamente deperibili la data di scadenza è sostituita dal termine minimo di conservazione (TMC), espresso dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”, seguito dalla data. Quest’ultima rappresenta il momento fino al quale un alimento conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione.

La data si compone dell’indicazione, nell’ordine, del giorno, del mese, e dell’anno, con le seguenti modalità:

per i prodotti alimentari conservabili per meno di 3 mesi, è sufficiente l’indicazione del giorno e del mese,

per i prodotti alimentari conservabili per più di 3 mesi ma non oltre 18 mesi, è sufficiente l’indicazione del mese e dell’anno,

per i prodotti alimentari conservabili per più di 18 mesi, è sufficiente l’indicazione dell’anno.

Superato il TMC è ancora possibile consumare il prodotto ma più ci si allontana dalla data di superamento del TMC più vengono meno i requisiti della qualità del prodotto senza dunque che venga intaccata quello della sicurezza.

Termine minimo di conservazione: prodotti esenti

Il termine minimo di conservazione non è obbligatorio per la frutta e la verdura fresche (a meno che non siano sbucciate o tagliate), il vino e l’aceto, il sale e lo zucchero allo stato solido, i prodotti da forno come pane e focaccia, prodotti di pasticceria freschi, bevande alcoliche con percentuale di alcol superiore al 10%, gomme da masticare e prodotti simili.

Stessa regola vale per i prodotti da banco (salumi e formaggi venduti in supermercati e ipermercati che devono solo indicare la temperatura di conservazione dell’alimento).

Termine minimo di conservazione: cosa succede dopo la scadenza

Può capitare che alcuni alimenti per cui è indicato il termine minimo di conservazione rimangano nelle nostre dispense oltre il termine indicato. La domanda che scatta è: “È ancora buono?”

La risposta è: dipende.

Dipende da come è stato conservato, dalla tipologia di prodotto, dal vostro gusto e dalla vostra propensione al rischio.

Quello che evidenziamo di seguito sono semplici consigli, giusto per fornirvi alcuni strumenti in più per valutare autonomamente la possibilità o meno di mangiare l’alimento.

Ad esempio, per gli yogurt, fino a 6/7 giorni dopo la scadenza non si dovrebbero avere problemi, la proprietà nutritive si perdono ma le caratteristiche organolettiche si conservano.

Per il formaggio occorre prima distinguere tra quelli a pasta dura e quelli freschi. Nel primo caso è possibile che si crei uno strato superficiale di muffa. Una volta tolto, il prodotto è edibile. Nel secondo caso consigliamo di non consumare il prodotto fresco, potrebbe essere rischioso.

Le conserve, in particolare quelle industriali, possono durare più a lungo di quanto indicato. Ad esempio, la scadenza delle conserve di pomodoro può arrivare fino a 20 mesi ma se la confezione è rimasta integra, si può consumare anche un paio di mesi dopo la data di scadenza. Ma una volta aperta, è preferibile di gran lunga consumarla in poco tempo. Per le conserve fatte in casa rimane sempre vivo il problema botulino. Fate molta attenzione.

Sempre rimanendo nel settore conserve, quelle di verdure come cetriolini, peperoni, melanzane, cipolline, olive, funghetti ed altri sottoli o sottaceti vari scadono mediamente dopo 2 o 3 anni, ma si possono mangiare fino a 2 mesi oltre la scadenza.

Per quanto riguarda pasta e riso secchi, il termine di conservazione, alla pari di biscotti secchi o crackers, può estendersi fino ai 2 anni e mezzo. Se conservati bene, anche in questo caso è possibile mangiarli anche dopo due mesi oltre la scadenza. Ma attenzione alla conservazione: se non tenuti come indicato dal produttore, in questi prodotti possiamo trovare vermicelli o farfalline.

I succhi di frutta, invece, hanno un intervallo di conservazione variabile da 6 a 12 mesi ma, come per l’olio e il caffè, dopo qualche mese perdono le loro proprietà organolettiche.