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Giustizia penale e accesso ai dati personali, la pronuncia della Corte Ue PDF Stampa E-mail
martedì 02 marzo 2021
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L’accesso ai dati personali desumibili dalle comunicazioni elettroniche può essere autorizzato solo da un giudice o da un’autorità indipendente. E solo per contrastare la criminalità grave o prevenire gravi minacce alla sicurezza pubblica

Dalla Corte di giustizia dell’Unione europea arriva una pronuncia sull’accesso ai dati personali nell’ambito della giustizia penale.

In ballo ci sono l’accesso ai dati personali tratti dalle comunicazioni elettroniche e il perseguimento di obiettivi legati alla ricerca e al perseguimento dei reati.

Secondo la Corte, allora, l’accesso a fini penali ai dati personali desumibili dalle comunicazioni elettroniche, che permettano di trarre precise conclusioni sulla vita privata, può essere autorizzato solo da un giudice o da un’autorità indipendente. E solo per contrastare la criminalità grave o per prevenire gravi minacce alla sicurezza pubblica.

Il diritto europeo inoltre osta a una normativa nazionale che attribuisca al pubblico ministero la competenza ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica a questi dati, al fine di condurre un’istruttoria penale.

Dati personali e giustizia penale, il caso

Di cosa stiamo parlando? Dei dati personali che possono essere dedotti da comunicazioni elettroniche e usati nell’ambito di un procedimento penale, sotto autorizzazione di un pubblico ministero.

Il caso in questione viene dall’Estonia e riguarda un procedimento penale nei confronti di una persona per furto, uso della carta bancaria di un terzo e violenza. I verbali sui quali si fonda la condanna erano stati redatti sulla base di dati personali tratti da servizi di comunicazioni elettroniche. La Corte suprema dell’Estonia ha sollevato dei dubbi sulla compatibilità col diritto europeo – con la direttiva vita privata e comunicazioni elettroniche – dei presupposti sulla base dei quali gli organi inquirenti hanno avuto accesso ai dati personali.

L’accesso ai dati personali

Secondo la Corte di giustizia, riunita in Grande Sezione, la direttiva «vita privata e comunicazioni elettroniche», letta alla luce della Carta, osta ad una normativa nazionale che permetta l’accesso delle autorità pubbliche a dati relativi al traffico o all’ubicazione, che possono dare informazioni sulle comunicazioni fatte dall’utente e trarre conclusioni sulla sua vita privata, fatte per cercare e perseguire reati, «senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica».

La direttiva europea osta inoltre a una normativa nazionale che «renda il pubblico ministero competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione al fine di condurre un’istruttoria penale».

Lotta alla criminalità vs rispetto della vita privata

Solo la lotta a forme gravi di criminalità o la prevezione di gravi minacce per la sicurezza nazionale possono giustificare l’accesso delle pubbliche autorità ai dati di traffico che permettono di trarre precise conclusioni sulla vita privata delle persone.

Oltre a questo, è in discussione la competenza del pubblico ministero ad autorizzare l’accesso ai dati personali in questione. Questo perché, per l’accesso ai dati, la legge deve prevedere regole chiare e requisiti minimi, in modo che le persone abbiano garanzie sufficienti contro il rischio di abusi nel trattamento dei loro dati. E l’ingerenza deve essere limitata allo stretto necessario.

L’accesso delle autorità nazionali ai dati conservati deve allora essere subordinato a un controllo preventivo fatto o da un giudice, o da un’entità amministrative indipendente.

In un’indagine penale, il controllo preventivo richiede che il giudice o l’entità indipendente «sia in grado di garantire un giusto equilibrio tra, da un lato, gli interessi connessi alle necessità dell’indagine nell’ambito della lotta contro la criminalità e, dall’altro, i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone i cui dati sono interessati dall’accesso».

L’entità amministrativa indipendente deve avere uno status che le permetta di agire in modo obiettivo e imparziale. Deve essere un’autorità terza rispetto a chi chiede l’accesso ai dati. In ambito penale, significa che non deve essere coinvolta nella conduzione dell’indagine e deve essere neutrale rispetto alle parti. Da qui insomma la “bocciatura” del ruolo del pm in questione.

Per la Corte di giustizia, tutto questo «non si verifica nel caso di un pubblico ministero che, come nel caso del pubblico ministero estone, diriga il procedimento di indagine ed eserciti, se del caso, l’azione penale. Ne consegue che il pubblico ministero non è in grado di effettuare il suddetto controllo preventivo».

 

 

 

Fonte HelpConsumatori

 

 

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