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Quel sacchetto non lo pago! Ovvero, l’inutile rivolta contro la tassa che non esiste PDF Stampa E-mail
martedì 09 gennaio 2018
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Dilaga, in questi giorni, la polemica relativa all’applicazione della Direttiva UE n. 2015/720, che prevede che a partire dal 1 gennaio 2018, tutte le buste, anche i sacchetti leggeri e ultraleggeri (con spessore inferiore ai 15 micron), utilizzati nei negozi e nei reparti ortofrutta, gastronomia, macelleria, pescheria e panetteria, dovranno essere biodegradabili e compostabili.

Nel rispetto dello standard internazionale UNI EN 13432:2002, essi dovranno avere un contenuto minimo di materia prima rinnovabile del 40%.

 

In realtà, rispetto al mese scorso è cambiato poco o niente: quel sacchetto che pensavamo esserci donato gratis dal supermercato, abbiamo scoperto avere un prezzo che, seppur minimo, è stato in grado di mandarci su tutte le furie. La direttiva europea appena recepita, infatti, non aggiunge un costo ulteriore per i consumatori («Le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati»), ma piuttosto esplicita il costo stesso del sacchetto, al fine di aumentare la trasparenza e la consapevolezza ambientale di chi acquista.

 

“Le polemiche sul pagamento di uno o due centesimi a busta”, afferma il ministro Gian Luca Galletti, “sono solo un’occasione di strumentalizzazione elettorale dato che appare evidente che si tratta di una operazione-trasparenza voluta dal Parlamento unanime. Le buste più ambientalmente sostenibili e con una sempre maggiore percentuale di biodegradabilità sarebbero state comunque pagate dai consumatori, come del resto accadeva per quelle in uso fino al 31 dicembre, con un ricarico sul prezzo dei prodotti. Oggi il consumatore sa quanto costa l’impegno di ciascuno per la lotta alle plastiche e alle microplastiche che infestano i nostri mari e finiscono nella nostra catena alimentare”.

 

Nonostante da più parti si cerchi smontare le tante bufale che continuano a circolare sui sacchetti bio, la logica che sembra prevalere è quella del “È meglio non sapere”. Pronti allora con le soluzioni “alternative”, nel vano tentativo di non pagare i pochi centesimi richiesti: etichette su ogni prodotto, merce infilata nei guanti (perché quelli, in teoria, sono gratis), sterili polemiche e invettive alle casse.

 

Nel merito delle polemiche, il presidente del Movimento Difesa del Cittadino, Francesco Luongo, insiste sul fatto che non vi è alcun costo aggiuntivo per i cittadino e invita i Ministeri dell’Ambiente e della Salute a fare al più presto chiarezza. “In questo caos interpretativo, il problema vero è quello dell’utilizzo dei sacchetti monouso che, come sottolineato anche da Legambiente, si può facilmente superare semplicemente con una circolare ministeriale che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di permettere la pesatura e l’acquisto del prodotto sfuso con sacchetti riutilizzabili ed a norma, come ad esempio le retine, pratica già in uso nel nord Europa”.

 

L’Adoc intanto lancia un appello alla GDO affinché fissi il prezzo dei nuovi sacchetti a 1 cent e ai Ministeri della Salute e dell’Ambiente affinché autorizzino i consumatori a usare sporte a rete.

 

“Invitiamo tutta la GDO a fissare ad 1 centesimo il prezzo del sacchetto, pareggiando le spese di produzione, in modo da non appesantire eccessivamente i costi a carico del consumatore”, dichiara Roberto Tascini, Presidente dell’associazione, “che così andrebbe a sostenere, in un anno, una maggiore spesa di 2 euro, considerando l’uso annuale di circa 200 sacchetti. Un terzo rispetto all’attuale spesa, dato che il costo medio delle nuove buste è pari a 3 cent, per un conto totale di 6 euro a fine anno”.

 

La novità dei sacchetti bio a pagamento, stando ai risultati di un recente sondaggio condotto da Adoc, non dispiace ai consumatori: il 65%, infatti, approva i nuovi shopper bio in ragione della loro sostenibilità ambientale, anche se va ad incidere sulle loro tasche. Un atteggiamento che andrebbe premiato abbassando, da un lato, il prezzo dei sacchetti, dall’altro prevedendo alternative all’uso di questi ultimi. Anche perché la direttiva Europea, base della normativa, non impone l’obbligo di far pagare ai consumatori i sacchetti ma solo di ridurre e disincentivare l’uso di materiali plastici.

 

Ad ogni modo, il polverone che si è sollevato in merito alla questione dei sacchetti ci sembra esagerato rispetto ad altre e ben più gravose situazioni. Il 2018 infatti si è aperto con la notizia di rincari ben più gravosi per le tasche dei consumatori: luce, gas, autostrade, ticket sanitari, tariffe telefoniche e molto altro ancora.

 

Sono davvero i centesimi per il bioshopper che ci faranno andare in bancarotta?

 

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